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Il Tempietto longobardo a Cividale del Friuli.

L'Oratorio di Santa Maria in Valle.

L'Oratorio oggi detto di Santa Maria in Valle fu eretto attorno alla metà dell'VIII secolo sul luogo in cui sorgeva il Palazzo del Gastaldo, signore di Cividale. Il suo ruolo, quindi, era quello di Cappella Palatina. L'iniziativa è forse di Astolfo, duca del Friuli dal 744 al 749 e re dei Longobardi da questa data fino al 756.

Il piccolo edificio è formato da una sala quadrata, coperta da un'ampia volta a crociera, affiancata a un presbiterio, in realtà un loggiato a tre campate, coperte con volte a botte parallele, sostenute da colonne binate.

Elemento caratterizzante dell'edificio è la convivenza, nelle ricche decorazioni a stucco dell'interno, di motivi longobardi e motivi classici, elemento che diverrà tipico della cultura carolingia. Nei cantieri carolingi, infatti, saranno ampiamente utilizzate maestranze longobarde. Lungo l'antica parete d'ingresso permane una raffinata decorazione a stucchi e in parte affrescata.

La lunetta della porta è incorniciata tra figure vegetali stilizzate a intrecci. Sul livello superiore spicca il fregio con sei figure femminili in stucco, probabilmente figure di sante. Queste si caratterizzano per una solennità di stampo classico, tuttavia rivisitata con un gusto longobardo, come si vede nei panneggi decorati e nell'andamento rettilineo.

Se è vero, poi, come sembrerebbero dimostrare recenti studi, che alla decorazione hanno contribuito maestri dell'area mediorientale, l'edificio potrebbe rappresentare l'avvìo della decorazione araba in terra italiana, a dimostrazione dell'apertura culturale della committenza ducale longobarda.

Oratorio di Santa Maria in Valle, VIII sec. Veduta dell'interno.

Cividale del Friuli.

Oratorio di Santa Maria in Valle, VIII sec. Veduta dell'interno. Cividale del Friuli.

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GEOGRAFIA - ITALIA - FRIULI-VENEZIA GIULIA

IL PERCORSO ARTISTICO E CULTURALE

Esperienze novecentesche

Bisogna aspettare la prima metà del Novecento per vedere emergere alcune personalità eminenti nel campo dell'architettura;

tali furono Raimondo D'Aronco e Max Fabiani che utilizzarono nei loro progetti il linguaggio razionalista.

Lo stile fascista si espresse nella fondazione di Torviscosa (1938-39) e in diversi edifici pubblici a Gorizia, Udine, Pordenone.

Negli anni del boom economico nacque il villaggio turistico di Lignano Pineta (1953-56), sulla costa adriatica, ad opera di Marcello D'Olivo, architetto udinese che concepì l'impianto urbano secondo un andamento a spirale, soluzione che lo attirava perché sintesi di forma naturale e calcolo geometrico.

Infine, l'opera degli udinesi Afro e Mirko Basaldella e del cervignanese Giuseppe Zigaina si colloca in posizione di assoluto rilievo nell'ambito della pittura contemporanea.

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LE CITTÀ

Trieste

(217.865 ab.). Trieste è il capoluogo della regione e la città più popolosa.

Situata sulle pendici collinari del Carso, si adagia per un lungo arco sul Golfo di Trieste, dominato dalla collina di San Giusto.

Caratteristica climatica di Trieste è la bora, vento freddo che investe la città da Est a Nord-Est con raffiche che raggiungono i 150 chilometri orari.

Trieste gode di un indiscutibile prestigio grazie all'affascinante stagione intellettuale del primo Novecento, cui concorsero le figure di Italo Svevo, Umberto Saba, Scipio Slataper e di altri illustri letterati quali Pier Antonio Quarantotti Gambini o Virgilio Giotti;

alla città è inoltre indissolubilmente legata la memoria di James Joyce, che a Trieste visse insegnando inglese alla Berlitz School.

Più recentemente, negli anni Settanta del XX secolo, la città fu un luogo-chiave del movimento di psichiatria democratica: qui operò lo psichiatra Franco Basaglia, fautore della legge che portò alla chiusura graduale degli ospedali psichiatrici.

Oggi, dopo molti anni di trascuratezza e degrado, la città cerca di risollevarsi puntando sul terziario della ricerca, della formazione e della mediazione commerciale e finanziaria (la Scuola internazionale superiore di Studi avanzati, il sincrotrone di Basovizza, il Collegio del Mondo unito di Duino), assolvendo a quell'antica funzione di raccordo fra cultura e mercato che, per un lungo periodo spenta, potrebbe ora riconfigurarsi nella dimensione del nuovo mondo globalizzato.

STORIA.

Colonia romana con il nome di Tergeste (dal venetico terg, mercato), dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente la città fu occupata prima dai Goti e poi dai Bizantini che la tennero, a parte un intervallo di dominio longobardo, fino alla conquista franca del 788. Durante il periodo imperiale il governo diretto della città fu esercitato dal 948 dai vescovi-conti;

instaurato ufficialmente il regime comunale nel 1236, a Trieste cresceva intanto l'insofferenza verso l'incombente egemonia veneziana, fino a portare la città a sottomettersi agli Asburgo (1382).

Iniziò da allora un lunghissimo periodo di inerzia economica e politica, interrotto solo a partire dal 1719, anno in cui l'imperatore austriaco Carlo VI dichiarò Trieste porto franco.

Il provvedimento fu rinnovato dalle più sistematiche riforme messe in atto dalla figlia di Carlo VI, Maria Teresa, il cui regno (1740-80) fu il vero punto di svolta per lo sviluppo mercantile di Trieste.

La grande espansione delle imprese commerciali ebbe come diretta conseguenza lo sviluppo delle compagnie assicurative, come il Lloyd Triestino e le Assicurazioni Generali Austro-Italiche.

Queste ultime vennero fondate nel 1831 e dopo i moti liberali del 1848 abbreviarono il nome.

In pochi anni la compagnia divenne una delle realtà finanziarie più importanti d'Europa, raggiungendo un primato che rimase negli anni consolidato nonostante il crollo dell'Impero e le due guerre mondiali.

L'operato delle Generali ebbe inoltre un concreto riflesso sulla vita economica di Trieste: posti e redditi di lavoro, investimenti immobiliari e depositi bancari, partecipazioni a iniziative economiche di rilievo locale.

Dopo l'Unità d'Italia Trieste fu il centro dell'Irredentismo, un movimento politico di cui facevano parte patrioti italiani decisi a emancipare anche questo lembo del Lombardo-Veneto dalla dominazione austriaca.

La città fu allora teatro di sanguinose repressioni poliziesche; l'irredentista Guglielmo Oberdan, che progettava un attentato all'imperatore Francesco Giuseppe, vi fu impiccato nel 1882.

Trieste fu annessa all'Italia solo alla fine della prima guerra mondiale, evento che segnò il definitivo dissolvimento dell'Impero austro-ungarico.

Nel successivo periodo fascista, l'esasperato nazionalismo e la tendenza espansionistica verso i Balcani accentuarono la diffidenza degli italiani verso la comunità slava;

gli eventi della seconda guerra mondiale culminarono nell'occupazione dell'Istria e della stessa Trieste (maggio-giugno 1945) da parte dei partigiani di Tito, le cui rappresaglie verso gli italiani causarono risentimenti difficilmente superabili.

Con il Trattato di pace di Parigi (1947) fu istituito lo Stato libero di Trieste, che comprendeva la città e un esiguo retroterra;

il disaccordo tra le potenze vincitrici sulla nomina di un governatore unico protrasse la divisione in zone d'occupazione: la zona A, che comprendeva Trieste, amministrata dagli anglo-americani, e la zona B, amministrata dalla Jugoslavia.

Dopo un periodo di tensione tra Italia e Jugoslavia, con un memorandum d'intesa (Londra, 1954) si giunse all'accordo di separazione fra le zone A e B: la seconda restava alla Jugoslavia, la prima tornava italiana.

La questione dei confini fu definita formalmente nel 1975 con il Trattato di Osimo.

Staccata dal suo naturale entroterra, la Trieste postbellica ha cercato di risollevare le sue sorti installando industrie e cantieri a capitale pubblico.

Oggi, la partecipazione di Slovenia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca all'Unione Europea ha tolto Trieste dalla sua posizione di marginalità offrendo nuove prospettive di sviluppo.

La città si propone di uscire dalla sua lunga fase di stagnazione puntando soprattutto sul terziario avanzato e sulla ricerca scientifica.

ARTE.

L'antica Tergeste nacque in corrispondenza del colle di S. Giusto;

qui si trovano le vaste rovine di una basilica civile romana e dei propilei, edificati dopo la metà del I secolo d.C. I propilei segnavano l'ingresso a un'area sacra, entro la quale si suppone sorgesse il tempio capitolino.

Quello che è ancora possibile vedere rende l'idea dell'imponenza dell'opera: due grandi strutture laterali adorne di colonne dovevano accompagnare al centro una scalinata.

Gli scavi condotti tra il 1929 e il 1934 portarono alla luce la basilica a tre navate e l'annesso lastricato che doveva coincidere con il foro, intorno al quale si disponevano altri edifici pubblici dei quali però non resta nulla.

D'epoca traianea è il Teatro romano, la cui cavea capace di 6.000 spettatori fu scavata sul pendio del colle di S. Giusto. Scale a raggiera la dividono in quattro settori, rivolti alla scena a valle, la quale aveva come suggestivo sfondo naturale il mare.

Altro resto della Trieste romana è il cosiddetto Arco di Riccardo; eretto probabilmente nel 33 a.C, costituiva una porta delle mura augustee o, secondo un'altra interpretazione, l'ingresso di un santuario della Magna Mater.

Il nome Riccardo, così poco latino, potrebbe derivare dalla parola latina cardo o forse dalla deformazione, al tempo della dominazione dei franchi, di "re Carlo". Simbolo architettonico della città è la basilica Cattedrale di S. Giusto.

La semplice facciata a capanna con il grande rosone gotico unifica due edifici religiosi paralleli.

L'attuale chiesa infatti deriva dall'accorpamento, avvenuto nel XIV secolo, della chiesa di S. Maria Assunta (sorta nell'XI secolo sui resti paleocristiani della prima basilica vescovile del V secolo) e dell'adiacente sacello risalente al IX secolo e dedicato al santo martire Giusto.

Venne così abbattuta una parete laterale di ciascuno dei due edifici e realizzata una nuova abside maggiore, così da ottenere una basilica a cinque navate caratterizzata da un'evidente asimmetria.

Al lato destro della basilica sorge il tozzo campanile, del XIV secolo, che ingloba anche resti del propileo romano; in un'edicola gotica è collocata una statua romanico-bizantina di S. Giusto (X-XI secolo), che regge in una mano il modello della città e nell'altra la palma del martirio;

ma è evidente dalle proporzioni che la testa, forse di epoca romana, è di riutilizzo.

All'interno della basilica, le navate sono divise da archi a tutto sesto retti da colonne e capitelli di stili differenti (XI secolo), segno di un continuo processo di stratificazione architettonica e funzionale della chiesa.

Evidenti gli interventi moderni: il soffitto a carena, che era cinquecentesco, è stato rifatto nel 1905;

nell'abside centrale, alterata nel 1843, spiccano gli affreschi di Guido Cadorin (1932).

Nell'abside destra sono conservati affreschi duecenteschi e un mosaico del primo Duecento con Cristo fra i Ss. Giusto e Servolo.

Al XII secolo risalgono i mosaici dell'abside sinistra, di scuola veneziana, raffiguranti la Madonna tra gli arcangeli Michele e Gabriele e, nella fascia sottostante, gli Apostoli.

Dalla navata sinistra si passa al restaurato battistero di S. Giovanni, con vasca esagonale del IX secolo.

Nella navata destra, nella Cappella di S. Servolo, si vede un commovente Compianto sul Cristo morto, in arenaria dipinta, opera tedesca di inizio Trecento.

Dall'alto del colle di S. Giusto domina la città il castello, costruito tra il 1460 e il 1630, per ampliamento di un caposaldo veneziano (e nel probabile luogo di un castelliere preistorico).

La fortezza si presenta oggi nelle forme conferite a scopi turistico-rappresentativi negli anni Trenta del Novecento;

d'estate il cortile ospita spettacoli, e dagli spalti, fortunatamente mai serviti in guerra, si gode la vista sulla città e sul golfo.

All'interno, nella Casa del Capitano, è ospitato il Civico Museo del Castello, preziosa raccolta di armi d'epoca, mentre nel bastione Lailo, recentemente restaurato, ha trovato spazio il Lapidario tergesteo, che custodisce pregiati reperti d'epoca romana.

La più antica chiesa della città è la basilica romanica di S. Silvestro, costruita tra l'XI e il XII secolo.

Sobrio è il rosone in facciata, mentre è probabile che il campanile, ornato da eleganti bifore, fosse un tempo una torre difensiva della cinta muraria cittadina.

Messa all'asta, come molti beni ecclesiastici, alla fine del Settecento in seguito alle riforme dell'imperatore Giuseppe II, fu acquistata dalla comunità evangelica elvetica, che la intitolò a Cristo Salvatore e ne fece la sede del suo culto.

Poco lontana sorge l'imponente chiesa di S. Maria Maggiore, costruita dai Gesuiti alla fine del Seicento secondo il modello romano dell'ordine.

L'interno, con pianta a croce latina, è a tre navate coperte a botte e riccamente decorate;

all'incrocio dei bracci s'innalza la cupola, ricostruita nel 1817 dopo un incendio.

Nella Cappella della Madonna della Salute è collocata un'immagine della Vergine, opera seicentesca attribuita al Sassoferrato, molto venerata dai triestini da quando le fu attribuita, nel 1849, la salvezza del popolo da un'epidemia di colera.

A Nord della città vecchia, per decisione dell'imperatrice Maria Teresa, viene attuato il primo programma di razionale pianificazione urbanistica della città.

L'operazione edilizia si completò in un lungo arco di tempo, tra la fine del Settecento e la metà dell'Ottocento, e richiese importanti interventi di bonifica del territorio: gran parte dell'area, infatti, era paludosa e adattata a salina.

Il Borgo teresiano fu concepito da un apposito comitato come un complesso di vie disposte a scacchiera, fiancheggiate da edifici a tre piani con magazzini a terra, locali per i domestici al piano rialzato, uffici al secondo o comunque ad altezza sufficiente per ricevere luce naturale, corte interna a verde.

Asse d'acqua del Borgo teresiano è il Canal grande, un porto canale scavato alla metà del Settecento per consentire carico e scarico delle navi nel cuore della città.

Oggi è attraversato da ponti fissi, e soltanto piccoli natanti vi possono accedere.

All'intersezione del Canal grande con il lungomare sorgono il cosiddetto Grattacielo rosso e il Palazzo Carciotti;

il primo (che prende il nome dai mattoni rossi di cui è fatto) è opera incompiuta di Arduino Berlam (1926-28) e ricorda in alcune soluzioni decorative, oltre che nella mole, le esperienze architettoniche d'oltreoceano;

il secondo fu commissionato nel 1799 dal facoltoso commerciante greco Demetrio Carciotti all'architetto triestino Matteo Pertsch, allievo del Piermarini ed esponente principale dello stile neoclassico a Trieste.

Pertsch realizzò così uno dei più begli esempi di architettura neoclassica della città;

la facciata ha una base a bugnato e sei colonne ioniche scanalate sormontate da una monumentale balconata ornata da sei belle statue di soggetto mitologico e allegorico, opere di Antonio Bosa, vicino alla scuola del Canova.

A coronamento del palazzo è posta una rotonda terminante in una cupola di rame.

A chiudere il Canal Grande si erge invece S. Antonio Nuovo, la chiesa più vasta di Trieste, eretta su progetto del ticinese Pietro Nobile tra il 1825 e il 1849;

presenta in facciata un maestoso pronao neoclassico a sei colonne ioniche che sorreggono un ampio frontone, e culmina nella grande cupola centrale.

Sulla riva sinistra del Canal Grande incombe con la sua mole di cupole azzurre il Tempio di S. Spiridione, luogo di culto della comunità serbo-ortodossa, costruito su progetto di Carlo Maciachini (1868) ed illustre esempio, tra i tanti, della tolleranza interreligiosa nella Trieste asburgica;

la grande cupola centrale è affiancata dalle semicupole a copertura dei quattro bracci della croce greca e sovrasta in altezza (40 metri) i quattro campanili angolari, anch'essi coronati da cupolotti.

L'interno con appariscente iconostasi e arredi in argento, riluce di affreschi a fondo oro che simulano dei mosaici.

Di straordinario valore le quattro icone russe di inizio Ottocento che ornano il livello inferiore dell'iconostasi.

Il Borgo teresiano conta diversi altri edifici civili d'interesse architettonico, come Palazzo Gopcevich (Giovanni Berlam, 1850), con facciata policroma e di ispirazione neorinascimentale veneziana;

il nome è quello del primo proprietario, un ricco commerciante di origine serba, che volle immortalare con le statue poste nelle nicchie al primo piano alcuni eroi dell'indipendenza della Serbia dall'Impero ottomano.

Di grande interesse la cortina architettonica della triangolare Piazza della Borsa, storico centro finanziario cittadino.

Spicca il neoclassico Palazzo della Borsa vecchia (Antonio Molari, 1806), dal pronao scandito da quattro grandi colonne doriche;

notevole è l'apparato decorativo scultoreo della facciata, che si deve agli artisti veneti Antonio Bosa, Bartolomeo Ferrari e Domenico Banti.

Sotto il portico, ai quattro continenti (Asia, Africa, America ed Europa) si alternano le raffigurazioni di Vulcano e Mercurio;

sulla balaustra della facciata, altre allegorie scultoree (il Danubio, il Genio di Trieste, Minerva e Nettuno), mentre sul timpano è la Fama.

Le opere più pregevoli rimangono i quattro altorilievi con putti, scolpiti da Antonio Bosa (1816-20), che rappresentano il Commercio, la Navigazione, l'Industria e l'Abbondanza.

Di fianco alla Borsa vecchia si nota la facciata curva e magniloquente di Palazzo Dreher, o Borsa nuova, opera di fine Ottocento.

Il perimetro di piazza della Borsa è completato dal Palazzo del Credito Italiano (già Palazzina Romano), elegante esempio di barocco triestino (1760-70) con loggia centrale, restaurato nel 1919-20 dall'architetto Polli, e da Casa Bartoli (Max Fabiani, 1905), molto chiaramente influenzata dai modelli dello Jugendstil (il Liberty tedesco): la caratterizzano le ampie superfici vetrate e la decorazione floreale.

Sulle "rive" della città, ormai uniformatesi alle tipologie dei lungomare delle più eleganti città mediterranee, si concretizza la storica vocazione di Trieste come città commerciale.

I moli protesi sulle acque racchiudono bacini e luoghi (come il porto vecchio, a Nord) che conservano tracce di archeologia industriale e commerciale;

gli edifici e le piazze prospicienti al mare compongono una quinta architettonica uniforme, realizzata nel periodo di maggiore splendore commerciale e finanziario della città, tra la fine del Settecento e l'inizio del Novecento.

Affacciata sulle rive è Piazza dell'Unità d'Italia, con S. Giusto il simbolo monumentale della città, posta nel punto di raccordo tra il Borgo teresiano e l'area urbana sviluppatasi verso Sud sotto il regno di Giuseppe II e detta appunto Borgo giuseppino.

La piazza consiste in un ampio rettangolo (16.000 mq), risultato di una radicale ristrutturazione ottocentesca.

Su tre lati della piazza sono collocati edifici di funzione politica, finanziaria, pubblica.

Innanzitutto il Palazzo comunale, con facciata in stile eclettico (Giuseppe Bruni, 1875) che s'innalza nella Torre dell'Orologio, sulla quale sono poste due statue in bronzo che battono le ore, chiamate affettuosamente dai triestini Michez e Jachez.

Davanti al palazzo la Fontana dei Quattro Continenti (Francesco Mazzoleni, 1751) celebra la fortuna commerciale di Trieste omaggiata dai mondi allora conosciuti (quattro perché Cook non aveva ancora scoperto l'Oceania).

Sul lato destro, guardando il mare, sorge Palazzo Modello (Giuseppe Bruni, 1870), popolarmente noto come "Palazzo degli scongiuri" per l'inequivocabile posa dei telamoni alla sommità della facciata, e il bel Palazzo Stratti (Antonio Buttazzoni, 1839), abbellito in facciata da un gruppo scultoreo del veronese Luigi Zandomeneghi che rappresenta allegoricamente il tema delle fortune e del progresso di Trieste (sono effigiati gli strumenti del lavoro e addirittura una locomotiva, che Stephenson aveva realizzato solo pochi decenni prima).

Al pianterreno di Palazzo Stratti c'è il Caffè degli Specchi (1839), il ritrovo pubblico più famoso della città.

Sul lato sinistro della piazza si allineano il settecentesco Palazzo Pitteri (Ulderico Moro, 1785), l'unico sopravvissuto agli interventi ottocenteschi, Palazzo Vanoli (1875), ispirato al Rinascimento francese, e il Palazzo del Lloyd triestino, la storica sede della più antica compagnia di navigazione istituita nella Penisola (1830).

Opera dell'architetto viennese Heinrich Ferstel (1880-84), il palazzo è ornato alle estremità dalle statue di Teti e di Venere (Josef Pokorny e Ugo Härdtl), le quali sono tutto ciò che rimane di due fontane a zampillo.

Sulle rive sorge anche il maggiore teatro di Trieste, il Teatro comunale "Giuseppe Verdi", per la cui facciata l'architetto Matteo Pertsch, allievo di Giuseppe Piermarini, si rifece al progetto che il maestro aveva concepito per la facciata della Scala di Milano.

La progettazione degli interni si deve invece a Giannantonio Selva, che aveva realizzato, una decina di anni prima, la Fenice di Venezia.

Inaugurato il 21 aprile 1801, il teatro vantò da subito una certa rinomanza per la sua perfetta acustica.

Nel 1850 lo stesso Giuseppe Verdi vi rappresentò la prima dello Stiffelio, opera concepita e scritta proprio a Trieste.

La maggiore istituzione museale cittadina è il Civico Museo "Revoltella", allocato nel palazzo neorinascimentale progettato da Friedrich Hitzig (1852-58) per l'imprenditore Pasquale Revoltella.

Appassionato collezionista e singolare personaggio, il barone Revoltella lasciò per testamento alla città il palazzo e tutto quello che conteneva, oltre a una cospicua rendita che consentì negli anni di incrementare il patrimonio artistico: la dotazione del museo comprende opere di autori italiani (Hayez, Morelli, Favretto, Palizzi, Previati; alcuni notevoli artisti giuliani come Giuseppe Tominz e Vito Timmel) e stranieri, e una sezione particolarmente significativa d'arte contemporanea (opere di Casorati, Sironi, Carrà, Morandi, De Chirico, Fontana ed altri).

Negli anni Sessanta del Novecento il museo è stato ampliato, acquisendo l'adiacente Palazzo Brunner.

La ristrutturazione concepita dall'architetto Carlo Scarpa prevede ora un itinerario di grande effetto, tra i locali della dimora storica del barone e quelli di moderno allestimento: spicca un ardito collegamento aereo tra l'ultimo piano e la terrazza, oltre che un luminoso atrio a tutta altezza, su cui si affacciano, tra balconate e finestre, i piani della galleria d'arte moderna.

Fanno parte del complesso anche un piccolo auditorium e una biblioteca.

Anche il Civico Museo "Morpurgo" nasce dalla munificenza di un raffinato collezionista, Mario Morpurgo de Nilma, che nel 1943 lasciò tutti i suoi averi al Comune di Trieste.

Nella dimora di Morpurgo, realizzata nel 1875 su progetto dell'architetto Giovanni Berlam, è stato allestito il museo, che costituisce uno splendido esempio di casa borghese in cui gli ambienti, con arredi originali, sono ispirati ognuno a uno stile storico (dal Rinascimento toscano al neorococò, dal Luigi Filippo al Settecento veneziano), spesso connotato da un colore dominante.

Si possono ammirare inoltre le raccolte di vetri e porcellane, di incisioni e xilografie - particolari quelle giapponesi - e una collezione di dipinti sette-ottocenteschi di scuola italiana, francese e tedesca.

Altro importante esempio di casa-museo della ricca borghesia triestina è la villa sette-ottocentesca del Civico Museo "Sartorio", dove agli spazi espositivi si alternano ambienti che conservano pressoché intatti gli arredi d'epoca.

Nelle collezioni d'arte spiccano una rilevante raccolta di disegni di Giambattista Tiepolo e il trittico di S. Chiara (1328-30) attribuito a Paolo Veneziano, dove lo schematismo astratto bizantino imperante in laguna si fonde con una nuova concretezza plastica.

Tra i pezzi più significativi si segnalano i dipinti e le sculture dell'eterogenea Collezione Stavropulos, donata nel 1952 alla città dall'industriale di origine greca Socrate Stavropulos.

L'Orto lapidario e il Civico Museo di Storia e di Arte, situati nel nucleo romano della città, raccolgono reperti preistorici della regione e materiali archeologici greco-romani.

Nel romantico Orto lapidario, inaugurato nel 1843 sulle terrazze di un cimitero soppresso, si conservano epigrafi romane e svariati frammenti architettonici di provenienza triestina, istriana e aquileiese.

Un tempietto neoclassico (1847) ospita il cenotafio (opera di Antonio Bosa, 1822) dell'archeologo Johann Joachim Winckelmann (1717-68), morto assassinato proprio a Trieste, dove si trovava di passaggio.

Il Museo di Storia e di Arte, fondato nel 1915 per collocare le raccolte comunali, ha oggi un prevalente carattere archeologico.

Di particolare significato sono i reperti di scavo fra Paleolitico ed Età del Ferro, emersi in grotte e castellieri dell'area giuliana (materiali della necropoli di Santa Lucia di Tolmino presso Gorizia, secoli VIII-V a.C.), vasi greci e italioti, terrecotte di Taranto, un rython tarantino in argento dorato e sbalzato (V-IV secolo a.C.).

Sono inoltre esposti rilievi del Gandhara, dono di una spedizione nel Karahorum guidata dal friulano Ardito Desio.

Alcune importanti istituzioni culturali cittadine sono ospitate tutte insieme presso un palazzo neoclassico (Pietro Nobile, 1816): la Biblioteca civica "Attilio Hortis", fondata nel 1793, ricca di oltre 400.000 volumi e di numerosi e importanti fondi;

il Museo Petrarchesco Piccolomineo, costituito nel 2003 sul lascito ottocentesco del conte Domenico Rossetti - fondatore della Società di Minerva, una delle più antiche associazioni culturali d'Italia -, riguardante le opere e le figure di Francesco Petrarca e di Enea Silvio Piccolomini (tra cui una sessantina di manoscritti, 121 incunaboli e oltre 600 cinquecentine);

il Museo Sveviano, che raccoglie i manoscritti, le fotografie di famiglia, l'epistolario, la biblioteca personale, nonché le edizioni a stampa delle opere di Italo Svevo;

infine, il Civico Museo di Storia naturale, costituito sin dal 1846, che conserva ricche collezioni di paleontologia, zoologia marina, anatomia comparata, botanica, entomologia, nonché di uccelli, rettili e anfibi del Friuli-Venezia Giulia.

Tra i molti preziosi reperti si contano alcuni resti fossili di dinosauri rinvenuti nei dintorni di Trieste e il cranio dell'uomo di Mompaderno, per il quale è stata allestita un'apposita sezione riguardante l'evoluzione degli ominidi.

Trieste: piazza dell'Unità d'Italia

Trieste: piazza dell'Unità d'Italia

Visita virtuale al Palazzo della Vecchia Borsa di Trieste

LA PROVINCIA.

La provincia di Trieste (248.998 ab. 212 kmq) occupa l'estrema parte Sud-orientale del Friuli-Venezia Giulia, al confine con la Slovenia e con la provincia di Gorizia. è la più piccola provincia d'Italia, con solo sei comuni: Trieste, Duino Aurisina, Maurupino, Muggia, San Dorligo della Valle, Sgonico.

La lunga questione territoriale che ha interessato l'area nell'ultimo dopoguerra ha definitivamente assegnato all'allora Jugoslavia (oggi Slovenia e Croazia) le isole di Cherso (Cres) e Lussino (Losinj), l'intera Istria, da Capodistria (Koper) a Fiume (Rijeka), e le campagne che spingendosi verso l'interno fino alle grotte di Postumia (Postojna) costituivano l'entroterra del porto triestino.

Il territorio della provincia triestina è di natura carsica e prevalentemente collinare. Per quanto non sia una terra generosa, vi si pratica con successo la viticoltura (DOC Carso) dalla quale provengono il rosso Terrano e i bianchi Malvasia istriana e Vitovska. Di tradizione è la coltura dell'olivo, significativa per la permanenza di antiche varietà (bianchera).

Dall'allevamento di bovini e suini deriva una produzione di formaggi come il monte re, da latte misto vaccino e caprino, e il monte tabor, interamente vaccino, e di salumi, primo fra tutti il prosciutto cotto, leggermente affumicato.

Altra risorsa è l'industria turistica che si è sviluppata soprattutto nel capoluogo e lungo la riviera triestina.

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